Una serie di Reading Room su La Divina Commedia
La settimana scorsa abbiamo visto come Dante scrivesse del suo viaggio attraverso l'inferno, il limbo e il paradiso come se si trattasse di un viaggio vero, realmente intrapreso (a cominciare, nel suo racconto, dal Venerdì Santo - 25 marzo 1300) e abbiamo visto come proprio tale comprensione del suo viaggio come reale ci aiuta a capire l'importanza - e la realtà - della nostra immaginazione. Questa settimana guarderemo al Canto I e inizieremo il nostro viaggio con Dante attraverso l'inferno e oltre...
Riprendiamo il nostro viaggio con Dante Alighieri, un attivista politico di mezza età e farmacista part-time in Toscana, Italia. Dante aveva vagato nel bosco, lungo un sentiero rettilineo, ma dopo che si era fatto buio si era smarrito. È, quella in cui si trova, una foresta molto aspra, dura e selvaggia, così selvaggia che anche il solo pensiero di una foresta del genere sarebbe stato sufficiente per farlo rabbrividire di paura. È così sconvolto per essersi perso in questa foresta che inizia a pensare che morire in questo momento non sarebbe così male.
In che modo, si potrebbe chiedere, Dante è capitato in una foresta del genere in primo luogo? Non lo sa nemmeno lui. Si era addormentato al volante, per così dire, in modo tanto profondo da ritrovarsi quasi letteralmente sonnambulo per tutta la vita: <<Io non so ben ridir com i vintrai, / tant era pien di sonno a quell punto>>.
Dopo aver girovagato un po' più, raggiunge i piedi di una montagna la cui cima è scintillante dei raggi del sole. Tale vista gli mette il cuore un po' più a suo agio. Si gira a guardare la foresta: sembra così oscura e spaventosa che non immagina come una persona possa attraversare una foresta del genere e uscirne viva. Allora mette gli occhi sulla montagna e comincia a salire per il suo pendio arido. Ma non appena ha incominciato a salire, vede un leopardo un po' su per la montagna; sa che è veloce come un fulmine e che se dovesse provare a continuare su per lo stesso sentito non ci sarebbe modo di farcela senza essere superato dalla creatura intimidatoria. Alza gli occhi al cielo per un momento; le stelle sono ancora visibili nel cielo e il sole ha appena iniziato a sorgere. Quando volge lo sguardo verso il monte, scorge un leone che sembra correre verso di lui con tanta fame negli occhi che sembra che l'aria stessa fuggirebbe spaventata, se potesse, dalla bestia famelica. Gira di nuovo la testa e vede un lupo. A questo punto non solo lo stomaco di Dante si sta rivoltando per la paura, ma si sente come un giocatore d'azzardo che ha scommesso i risparmi di una vita al tavolo del blackjack e ha perso; è privato di ogni speranza che abbia mai avuto di raggiungere la cima della montagna.
Dante non ha altra scelta che allontanarsi dalla montagna e tentare di tornare indietro a tentoni attraverso la foresta oscura e spaventosa. Improvvisamente, in mezzo alla spaventosa landa desolata, scorge una figura umana e chiede aiuto alla persona. <<Miserere di me>>, grida, <<qual che tu sii, od ombra od omo certo!>>
<<Non omo, omo già fui>>, gli risponde in modo criptico la persona, spiegando a Dante che egli un tempo era un uomo vivente, un uomo di origine mantovana che viveva nella Roma pagana, durante il regno dell'imperatore Augusto. Durante la sua vita fu un poeta, dice, che scrisse un grande poema epico su un eroico guerriero troiano di nome Enea che era sopravvissuto alla distruzione di Troia e in seguito si diresse verso l'antica Roma.
Dante, anch'egli aspirante poeta, capisce subito di chi si tratta, nientemeno che il suo eroe Virgilio, uno dei massimi poeti dell'epoca romana e autore del grande poema epico latino, l'Eneide. Dante china la testa davanti a lui per la vergogna, imbarazzato che la prima impressione che sta dando di sé al suo eroe sia di lui che si è allontanato dalla montagna, ancora perso nel bosco e che grida aiuto a chiunque sia a portata d'orecchio.
Dante si riprende rapidamente e parla con entusiasmo a Virgilio di quanto ami lui e la sua poesia, quanto sia un idolo per lui e come abbia cercato di modellare il suo stile poetico sul suo.
«Vedi la bestia per cu io mi volsi; aiutami da lei, famoso saggio», supplica il suo eroe letterario, iniziando a piangere, «chella mi fa tremar le vene e i polsi».
Allora « a ten convien tenere altro viaggio», risponde Virgilio, semplicemente e stoicamente. ‘Se vuoi fuggire da questa foresta, seguimi. Ti porterò su una strada diversa. Passeremo per un luogo dove sentirete pianti disperati, dove vedrete spiriti desolati che implorano la morte anche se sono già morti. Vedrai persone che si accontentano di bruciare. Se riesci a superare tutto questo e desideri continuare, potrei aver bisogno di allontanarmi da te, a quel punto riceverai una nuova guida, una guida per un luogo più elevato e più benedetto...’
‘Sì, per favore portami con te’, risponde Dante.
Virgilio va avanti e Dante lo segue.